16. mag, 2021

GLI ULTIMI TRE ANNI

“Da quando non vedo più, i pensieri tinti mi visitano più spesso.

Cerco di scartarli; però tornano.

A volte mi viene la paura del buio, come da bambino.

Una paura fisica, irrazionale.

Allora mi alzo e a tentoni corro di là, da mia moglie”.

Andrea Camilleri

Andrea sente suonare la sveglia, sa che sono le sette, dalla cucina il profumo del caffè inebria ogni angolo della casa e per lui questo è un ottimo motivo per scendere dal letto. Tasta il ripiano del comodino e tocca il cellulare, si infila le ciabatte posizionate vicino al letto al solito posto e, cercando la pediera di ferro, si avvicina alla porta.

Il ricordo del letto in ferro battuto nero è ancora nitido nella sua mente: è quello di quando si è sposato sessant’anni fa e che ha visto nascere i suoi tre figli.

Istintivamente volge lo sguardo alla finestra per cercare la luce, non il sole, la pioggia o le nuvole, ma basterebbe anche solo la luce. Si sostiene e fa scivolare il palmo prima sul comò vicino alla porta, poi sullo stipite, tastando con piccoli picchiettii del dito indice e medio.

Con cauta destrezza conta due passi prima di raggiungere la scala, appoggia la mano e afferra il corrimano di legno.

Uno, due, tre, quattro, la mano scorre sulle rughe del rovere invecchiato, cinque, sei, sette, otto. Ecco. La scala è finita. Segue il profumo del caffè come un segugio.

Gli hanno insegnato a contare, da quattro anni conta, tutta la sua giornata è fatta di numeri e parole.

Numeri che gli hanno insegnato a camminare in modo diverso e parole che adesso non vede più, le immagina nella sua mente, vive i personaggi dentro di sé e a fatica detta quello che sente.

Si lascia guidare dal profumo del caffè che da oltre cinquant’anni sua moglie gli fa trovare a tavola.

Le ciabatte in panno sfregano il pavimento freddo, schiacciate da un corpo appesantito e stanco. Non è ancora abituato a dipendere dagli altri, dalla mattina alla sera. Solo la notte è come tutti, solo al buio si sente normale.

«È la vecchiaia» gli disse il dottore «si ritenga fortunato a essere fisicamente sano».

Ma cosa ne sapeva quel dottore di cosa significa essere sani? Non poter più scrivere, questa è la menomazione più grande! Non leggere le proprie lettere, le frasi che l'inchiostro dentro di lui lasciava su carta.

Gli odori sono quelli di sempre, non vede più i suoi libri sparsi ovunque, ma ne riconosce l'aroma, il senso di casa che percepisce a ogni angolo. Nulla è stato spostato, soprattutto ora.

Immagina la scrivania in mogano massello con il ripiano in pelle nera un tempo ricoperta di fogli colmi di appunti, penne e matite ovunque e libri aperti accatastati alla rinfusa. Ora è in ordine, non ci sono più penne e carteggi, ma solo un piccolo registratore vocale con tre tasti: uno più grande di avvio e due più piccoli di stop e pausa. Non serve altro. Lo tiene in un palmo della mano e lo avvicina alla bocca per dettare, potrebbe farlo ovunque, in camera, in salotto e persino in bagno, ma vuole ancora rimanere seduto a quella vecchia scrivania perché tutto ha sempre avuto inizio da lì.

Piove, il ticchettio delle gocce di acqua sulla vetrata in salotto gli ricorda quando la mattina correva al lavoro in auto e, tra il traffico di Roma, la pioggia battente veniva spostata a malapena dai tergicristalli induriti dal tempo.

Questa notte ha sognato Rina, la vecchia sarta del paese dove viveva da bambino, e lo vuole scrivere, anzi dettare.

Ha sempre amato raccontare le sue storie, parlare e incantare le persone non solo con le parole, ma anche con il tono di voce, le inflessioni, ma dettare non è la stessa cosa.

Dalla tua bocca esce un testo scritto nell'aria.

Non vede Rosetta, ma la sente rivolta verso la lavastoviglie a riordinare.

Allarga il braccio verso destra, sfiora il muro freddo e raggiunge la porta aperta del salotto, conta tre passi dritto, la punta delle dita accarezza la credenza in legno, poi quattro a destra e tocca la cornice della porta della cucina. Allunga la mano e con tremolii alle dita picchietta il legno.

«Buongiorno» la interrompe.

«Buongiorno, amore, il caffè è pronto» lo sfiora con un bacio lei.