28. giu, 2021

IL MILLEPIEDI

Guardò Anna zampettare tra un punto e l'altro del sentiero con il suo zainetto giallo perfettamente in tinta con la maglia tecnica e i pantaloni elasticizzati che le facevano risaltare le forme sode del fondoschiena. «Potresti aspettarmi» sbuffò lui.

L'aria fredda del mattino lo fece sbuffare più del solito e il fumo bianco che uscì dalla bocca sapeva di cappuccino e brioche. Le foglie del sottobosco in alcuni punti nascondevano rocce scivolose. Non alzava gli occhi gli occhi da terra nemmeno un secondo, se fosse scivolato sarebbe rotolato a valle rendendo vana tutta la fatica fatta finora.

«Dai, sbrigati! Prima usciamo dal bosco e prima vediamo il sole e il paesaggio bellissimo che ci aspetta. Secondo i miei calcoli, dovremmo arrivare al rifugio per le undici, ma, se andiamo avanti di questo passo, non ce la faremo mai».

«Questo bosco lo conosco a memoria: ci venivo da bambina con mio nonno, prima, poi con mio padre e ora con te. Non succede mai nulla».

Con il braccio teso e la mano appoggiata a un pino, mentre con l'altra si asciugava la fronte madida, Pietro quasi le gridò: «Che fretta hai! In montagna la vita deve essere presa in modo più tranquillo, il bello è il tragitto, stare a guardare intorno cosa ci accade».

«Dai, sbrigati, non trovare scuse per non continuare!»

«Non è detto. Potresti scivolare, inciampare perché non stai attenta o perché non senti arrivare un animale che ti potrebbe spaventare». Pietro parlò con un filo di voce e si sforzò di rivolgere la testa verso Anna per raggiungere le sue orecchie due metri avanti, ma lei sembrò non sentirlo.

«Questi scarponi mi fanno male. Non credo che arriveremo insieme alla fine di questo sentiero. Io forse mi fermerò».

«Come! Ti fanno male gli scarponi? Te li ho regalati io a Natale. Sono perfettamente in tinta con la camicia a quadri che hai. Non è possibile che non ti vadano bene».

«Sì… ma non li ho provati. Adesso mi fanno male. Io torno indietro, non posso più andare avanti così».

«Tra un po' usciremo dal bosco e il sole ci riscalderà, la strada lì è più larga e meno ripida, è sufficiente che tu tenga duro ancora un po'». Anna guardò avanti, aveva il mento in alto e la fronte rivolta verso le cime degli alberi, come a voler raggiungere al più presto i primi raggi di sole, quando si accorse di non sentire più il fruscio delle foglie dietro di sé e si voltò.

«Pietro, questa doveva essere la giornata per noi: una passeggiata dove possiamo stare insieme da soli, lontano da tutto, un momento nostro».

«Non credo che ci basterà questa giornata».

La schiena di lui aderiva al pino tre metri avanti al precedente e le gambe erano leggermente divaricate per rilassare i muscoli dei polpacci. «Sono stanco»

«Perché non sei allenato. Ti dico sempre di non bere tutta quella birra».

«Non riesco più ad andare avanti, è difficile, mi manca l'aria, Il sentiero è troppo ripido e io non ce la faccio a raggiungerti. Sei troppo lontana da me».

«Se vuoi rallento, ma non posso perdere il ritmo, ti aspetterò quando sarò fuori dal bosco. Ci vediamo alla teleferica». Anna parlò come se per lei quella strada non fosse in salita, camminò leggera senza fardelli guardando avanti, quasi dimenticando che era con Pietro.

«Anna» sospirò lui «Va bene: io ti raggiungo e poi ripartiamo insieme nel sentiero meno ripido, mi riposo un po’ e poi ricomincerò a camminare vicino a te, come ho sempre fatto. Non vorrei tornare indietro, mi piace questa camminata. Ho sempre desiderato starti vicino anche se sapevo che tu sei sempre avanti a me, ma se mi aspetti, io ci riprovo».

Lei si fermò e lo fissò dolcemente, accennò un sorriso e si voltò per proseguire con passo più quieto, ponderato, quasi attento a dove mettere i piedi.

Lui le guardò le spalle che ben conosceva (e ultimamente vedeva anche più spesso del viso) e riprese pensando a quel lontano rifugio in cui lei era andata molte volte con il nonno e il padre, quando ancora lui non esisteva nel suo cuore, e ora lei gli permetteva di visitare un posto così intimo e speciale che forse non aveva mostrato a nessun altro, neppure allo storico fidanzato delle scuole superiori che aveva lasciato proprio per stare con lui.

D'improvviso si sentì nuovamente felice e innamorato, accelerò il passo per raggiungerla, là dove lei gli aveva assicurato, su quella vecchia pedana di cemento da dove una volta partiva la teleferica che trasportava la legna in paese.

Pietro rabbrividì, forse per la storia o forse per le gocce di sudore che si stavano raffreddando all'ombra degli alberi, doveva arrivare al più presto e scaldarsi vicino ad Anna. Mancava poco.

Da molti anni in disuso, era stata smantellata dopo un tragico incidente: dalla fretta di ritornare a casa, un abitante del luogo vi era salito e, come se il destino avesse aspettato proprio un uomo e non un pezzo di legno, il cavo si era rotto sul punto più alto sopra la valle e le rocce.

Si lasciò alle spalle gli ultimi pini e si inoltrò nel prato che precedeva l'ultima salita, quando arrivò al punto concordato e vide il pezzo di cemento vuoto.

Si guardò intorno, vide un prato in fiore, la mulattiera più larga e piana, voltò la testa destra e a sinistra.

Gli squillò il telefono e lesse ANNA, toccò il video e lo appoggiò all'orecchio.

«Ciao! Sono andata avanti, scusa, ma tanto non è un problema: ci vediamo al rifugio. Ti aspetto lì».

Pietro rimise il telefono in tasca, chiuse gli occhi verso il sole e inspirò forte l'aria buona, accennò un sorriso disilluso a sé stesso e, con le mani in tasca, riprese a camminare più sciolto.