14. set, 2021

LA DIVERSITÀ È NEGLI OCCHI DI CHI GUARDA

«Ma no mamma! Non sono stato io! È stato il mio amico. Io ero lì per caso».

«Ma come, Paolo. Il preside mi ha detto che avete spinto e strattonato un tuo compagno».

«Ma no, stavamo scherzando. Non gli ho fatto niente».

«Vabbè dai, ora vai fuori a giocare».

Quando mia madre ha voglia di bere, neanche il presidente in persona la distoglierebbe dal suo desiderio, figuriamoci un rimprovero del preside per aver preso un po’ in giro un mio compagno di banco. Va in cucina, chiude bene la porta, prende il bicchiere blu dallo scolapiatti arrugginito e versa la vodka che nasconde nella panca.

Mia mamma è molto timida, non esce quasi mai di casa, indossa sempre delle grandi vestaglie colorate di rosa, giallo e azzurro. A volte le uso per fare le tende degli indiani e giocare con i miei amici. Ne basta una e ne costruiamo una bella grande dove ci nascondiamo e fumiamo le sigarette che rubo a papà o beviamo la vodka della mamma, ma poca perché poi ci brucia la gola.

Da bere a casa ce n’è sempre; lei lo usa come medicina dice lei per scacciare i brutti pensieri.

Beve al mattino mentre sono a scuola e quando arrivo a casa l’aiuto a preparare la pasta altrimenti si scotta con la pentola bollente.

Beve per digerire dopo mangiato e si stende a riposare tutto il pomeriggio fino a sera quando, mentre prepara la cena, finisce le ultime gocce della bottiglia. Quando vado a letto, lei rimane sul divano e mentre è con papà apre un’altra bottiglia. Loro discutono spesso la sera, parlano, urlano e si gridano cose che non capisco molto.

I miei genitori sono di ampie vedute e posso stare fuori quanto voglio, l’importante è che io rientri per pranzo e per cena.

Quando siamo a tavola siamo una famiglia unita. Mia madre cucina barcollando tra i mobili e il tavolo, e mio padre rimane in silenzio a guardare la televisione.

D’inverno mi diverto a soffiare sulla finestra e disegnare con le dita gli alberi, le nuvole o facce strane, poi cancello tutto con la manica del pigiama sennò la mamma si arrabbia perché ha già tanto da fare.

A volte racconta del suo lavoro, spiega bene ad alta voce come lo trattano e quanto sono ingiusti con lui perché arriva in ritardo. La mamma si commuove, piange perché le dispiace tanto che trattino male papà. Io mi sbrigo a mangiare, lavo il mio piatto e corro in camera mia a leggere i giornalini.

Quando sono sotto le coperte mi sento grande e forte perché ho quelle grigie e pesanti che usano i militari in guerra e io immagino di essere come loro che combattono tutti i giorni.

La persona contro cui lotto di più è il mio compagno di banco.

È sempre ben pettinato, con i capelli appiccicati alla fronte come se avesse preso la pioggia e ha un sorriso bianco e splendente come quelli della pubblicità dei dentifrici.

La cartella è nuova, non come la mia che è quella di mio cugino.

Per merenda ha un panino con la marmellata oppure la mortadella. Io, che sono sempre senza, gliene chiedo un pezzo ogni giorno; lui non me lo vuole dare così io glielo prendo lo stesso.

Quando è seduto è sempre dritto con la schiena, girato verso il maestro come un girasole verso il giorno, attento e con tutti i quaderni in ordine.

Se gli parlo, lui mi risponde a bassa voce, senza urlare mi racconta che a casa ha tanti giochi, che sua mamma lavora in un negozio e suo papà in ufficio.

A volte mi fa un po’ pena perché a pranzo mangia da sua nonna e vede i suoi genitori solo la sera.

Una signora che non conosce va a casa sua a pulire e stirare.

Mi ha detto che per dormire ha un piumino leggero, non come me che ho le coperte degli uomini.

A volte mi chiedo se sia felice…

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